Burnout, come proteggere la salute mentale dei lavoratori
L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) è la prima organizzazione sanitaria a livello internazionale ad aver riconosciuto il burnout da lavoro come una sindrome, inserendola nel suo lungo elenco di disturbi medici.
Probabilmente non sarà l’ultima visto che, negli Stati Uniti, già da tempo, si è attivata l’Associazione degli Psichiatri Americani, la quale ha istituito un gruppo di lavoro specifico sul tema.
Burnout, un esaurimento emotivo di cui è vittima il lavoratore
Il termine burnout o burn-out deriva dall’inglese e vuol dire “bruciato”, “esaurito” o “scoppiato”. Un termine usato per la prima volta negli Anni Trenta del secolo scorso in ambito sportivo ed indicava l’incapacità di un atleta di ripetere i suoi successi.
Questo termine è stato poi ripreso dalla psichiatra americana C. Maslach nel 1975, la quale lo ha utilizzato per definire una sindrome i cui sintomi evidenziavano una patologia comportamentale a carico di tutte le professioni ad elevata implicazione relazionale.
Il Burnout è una forma cronica di stress lavoro correlato che si presenta con un crescente senso di distacco dalle attività nelle quali il soggetto è coinvolto.
Il lavoro perde di significato e le conseguenze psico-fisiche possono essere drammatiche, con effetti decisivi anche sulla produttività.
La gravità del fenomeno è confermata dal fatto che i fattori che facilitano l’insorgenza del burnout (come cambiamenti organizzativi, cambiamenti di ruolo e mansione, conflitti e difficili interazioni con i colleghi, aumento di responsabilità e carico di lavoro) sono sempre più connaturati al mondo del lavoro nella sua evoluzione attuale.
A tutto questo negli ultimi due anni si è aggiunta anche l’emergenza pandemica legata alla diffusione del Covid-19.
Secondo una ricerca pubblicata dal Global Culture Report 2021, nella quale sono stati intervistati 40.000 professionisti, il Coronavirus ha causato a livello internazionale un incremento del burnout pari al 15%.
Quali sono i sintomi del burnout?
Il burnout, secondo l’OMS, è caratterizzato da tre dimensioni principali che coinvolgono direttamente il lavoratore, quali:
- mancanza totale di energie;
- distanza mentale dal proprio lavoro, negativismo o cinismo;
- ridotta o limitata efficacia professionale.
Nello specifico, i lavoratori che vivono un’esperienza di burnout sono soggetti a:
- disturbi fisici, quali disordini del sonno, abbassamento delle difese immunitarie, disturbi sessuali e gastroenterici.
- disturbi psicologici: autocritica, sensazione di non essere abbastanza bravi, demotivazione e desiderio di isolamento, distaccamento.
A livello organizzativo le ricadute del burnout sono altrettanto drammatiche.
Diversi studi segnalano come i lavoratori soggetti ad un esaurimento emotivo e ad uno stress lavoro correlato cronico, mostrino:
- livelli più elevati di assenteismo;
- una maggiore tendenza ad incorrere in errori e ad esporsi ai rischi con un aumento significativo degli infortuni;
- tensioni e problemi disciplinari.
Tali effetti, riconducibili a questa sindrome, generano costi notevoli per le aziende.
Quali sono le figure professionali che rischiano maggiormente?
Le seguenti figure professionali sono maggiormente soggette al burnout:
- I lavoratori impiegati nei cosiddetti lavori usuranti, in particolare quelli che prevedono un alto carico di responsabilità sulle spalle della stessa persona senza possibilità di delegare. È il caso di commercianti, imprenditori e liberi professionisti.
- I professionisti in ambito sanitario, educativo e sociale. Medici, infermieri, assistenti sociali e insegnanti, supportano un forte stress emotivo;
- I lavoratori impiegati in lavori monotoni, alienanti, ripetitivi e senza crescita professionale, che non prevedono sviluppi personali o professionali nel tempo.
All’inizio la sindrome è stata correlata solamente alle “helping professions” ma in seguito è stato riconosciuto che può manifestarsi in qualsiasi contesto lavorativo in cui esistano forti condizioni stressanti.
Certamente non tutte le forme di stanchezza, demotivazione ed esaurimento sono manifestazione di una sindrome da burnout. È il contesto lavorativo che caratterizza il burnout. Quest’ultimo si sviluppa infatti nel fertile terreno in cui esiste un forte divario tra la natura del lavoro e la natura della persona che svolge quel lavoro.
Quali misure adottare per contrastare il burnout?
Le conseguenze del burnout sono piuttosto rilevanti, sia a livello individuale sia organizzativo.
Per questo motivo, un’organizzazione che non sottovaluta lo stress cronico ma, al contrario, analizza ed affronta il fenomeno con competenza, matura un vantaggio decisivo nei confronti dei propri competitor.
Un errore che non bisogna commettere è quello di pensare che la sindrome da burnout sia esclusivamente soggettiva e riconducibile a fattori individuali. Al contrario, numerosi studi mostrano come il burnout dipenda dall’organizzazione del lavoro.
Le stesse cause che ne favoriscono l’insorgenza, come i cambiamenti organizzativi, di ruolo e di mansione o i conflitti sul lavoro sono una chiara conferma della natura organizzativa del problema. Numerosi studi mostrano come questa sindrome dipenda dall’organizzazione del lavoro.
Il lavoratore non è un numero, immune dalle pressioni esterne, ma un’entità complessa che opera all’interno di un ambiente lavorativo altrettanto mutevole ed intricato.
Al giorno d’oggi se il lavoro richiede ad ogni soggetto una sviluppata capacità di adattamento al cambiamento, è fondamentale che ogni organizzazione fornisca ai propri dipendenti tutti gli strumenti per essere flessibili.
Per questo motivo, il primo passo che un’organizzazione deve intraprendere è quello di intervenire per valutare e gestire il rischio di stress lavoro correlato, con l’obiettivo di:
- migliorare l’organizzazione del lavoro;
- prevenire le condizioni individuali di sviluppo della sindrome del burnout.
Un approccio organizzativo al burnout, piuttosto che individuale, può generare nel medio-lungo periodo un cambiamento efficace perché si focalizza sul gruppo nella sua totalità.
Il gruppo, infatti, ha maggiori possibilità di promuovere il benessere in modo condiviso, comprendendo le preoccupazioni dei propri professionisti attraverso una fase proattiva di comprensione e di ascolto.